18.5.10

[RECE] Synecdoche, New York



Se il sogno di un'intera vita, della vostra vita, fosse quello di realizzare la piéce teatrale perfetta, esente anche dal più insignificante riverbero (evito la parola refuso, altrimenti finisce che mi menano) dubito trascorrereste serenamente le vostre giornate. E infatti Caden Cotard (un magnifico Philip Seymour Hoffman, che avevo lasciato in pessima forma con DoubtI love Radio rock l'ho abbandonato dopo trenta minuti quindi non mi sbilancio più di tanto) vive malissimo, a metà strada tra l'ipocondria, una moltitudine di nevrosi e paranoie, e la malattia, quella vera, tangibile, che un giorno dopo l'altro lo logora interiormente e mentalmente. E le cose peggiorano quando decide di ricostruire in un set buona parte di New York e mettere in scena tutta una serie di storie che si svolgono in contemporanea, che appaiano vive, consistenti e convincenti. Il tracollo, da tutti i punti di vista, che lo porterà ad annullare l'uomo Caden in funzione dell'autore Cotard.
Charlie Kaufman è, e posso scriverlo senza dubbio/rimorso alcuno, il mio sceneggiatore preferito (breve digressione sul mio altro grande amore, Wes Anderson, si, adoro anche lui, tuttavia nei film di Anderson c'è sempre quel senso di confezione perfetta e patinata, che raramente riesce ad apparire reale, mentre in quelli di Kaufman, per quanto maggiormente surreali, si avverte un più "intenso" contatto con la realtà che contribuisce a rendere credibile l'intera vicenta. Chiariamoci, come per Kaufman, qualsiasi cosa sforni Anderson la amo incondizionatamente e gli va riconosciuto che è un ottimo trend setter nonché fautore delle migliori colonne sonore da film che abbia finora ascoltato, Morricone escluso), sono cresciuto con Essere John Malkovich (sempre sia lodato anche Spike Jonze, pure per Nel paese delle creature selvagge — e il libro di Sendak è un must have), ho adorato Eternal sunshine of the spotless mind (il titolo italiano mi rifiuto di scriverlo anche sotto tortura) e Confessioni di una mente pericolosa (Clooney, quando vuole, sa il fatto suo, vedi anche Good night and Good luck) e ho vissuto le paranoie di Adaptation (vale lo stesso discorso fatto per il titolo di Eternal…) in prima persona. Solo Human nature non mi ha convinto più di tanto, ma se si tratta di Kaufman sono portato a credere sia un problema mio più che della storia in se.
Tornando alla sua ultima fatica, dove esordisce anche come regista, devo ammettere che nonostante l'ora tarda non ho avuto cali di attenzione nemmeno per un minuto ed è un peccato che in Italia, con buona pace dei distributori e del pubblico nostrano, non lo vedremo mai, non al cinema almeno.
La fotografia, dai toni cupi, di Elmes (che già nel 2006 aveva fatto un ottimo lavoro con Il destino nel nome della Nair, altro gran film) enfatizza ancora di più quel senso di angoscia persistente e allo stesso scopo contribuiscono le musiche di Jon Brion (di cui è apprezzabile anche il lavoro svolto per ♥ Huckabees, altra pellicola figlia di Anderson, a dirla tutta). E poi? Poi c'è il resto del cast che non sbaglia una virgola, da Michelle Williams (ma quanto era inutile in Shutter Island?) a Jennifer Jason Leigh (belli i tempi in cui recitava per Cronenberg), passando per Samantha Morton (lunga vita a Corbijn e al suo Control) e Hope Davis (la sua psicologa "truffaldina" è una delle cose migliori del film). Per non parlare del mitico Tom Noonan (il Cain di quel Robocop 2 scritto, a suo tempo, da Frank Miller). No, non mi sono dimenticato di Catherine Keener, solo che volevo parlarne in separata sede, perché per me basta la sua presenza per dare al film quel tocco "indie" che non guasta mai (ripenso anche a Into the wild, oltre al già citato Nel paese delle crature selvagge). Gran prova autoriale, concludendo, e mi dispiace un po' che Kaufman non sia un autore tra i più prolifici, ma d'altro canto, se così fosse, non otterrebbe secondo me gli stessi risultati. Ci sarebbe molto altro da dire, ma Kaufman preferisco lo si scopra durante la visione e non leggendo le "critiche" ai suoi film.

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