PREMESSA:
Anche quanto segue è stato pubblicato sull'ultimo numero di Comic-Soon e, sempre per il solito discorso stile embargo, lo posto ora sul blog.
Recensire una serie in corso d’opera non è mai cosa semplice, soprattutto quando si tratta di un’opera che potrebbe celare nel suo ultimo numero l’elemento risolutore dell’intera vicenda, ragion per cui quanto vi apprestate a leggere è soprattutto la personale opinione — se non esperienza — di un lettore che si è lasciato trasportare nell’immaginifico — per quanto il più verosimile possibile — mondo creato da Michele Medda (co-creatore, insieme a Bepi Vigna e Antonio Serra, dell’iconico Nathan Never, uno dei personaggi di punta della scuderia Bonelli). Caravan è, principalmente, un’esperienza on the road. Il viaggio è uno dei topoi narrativi maggiormente utilizzati nella letteratura sin dai tempi antichi — basti pensare all’omerica Odissea per richiamare alla mente immagini di epiche traversate e traguardi all’apparenza irraggiungibili — e Medda, a quanto pare, lo sa bene, riuscendo nell’intento di creare una carovana di persone che si rapportano con tematiche degne di una tragedia greca. E se il pretesto per dare il via a questa odissea è di natura paradossalmente paranormale, facendo riaffiorare alla mente immagini tante volte viste in serial televisivi di successo (basti pensare al Lost di Abrams o a Jericho, con il quale condivide diversi spunti) il prosieguo della narrazione è un alternarsi di eventi passati (attraverso dei flashback che raramente risultano sovrabusati) e presenti, in un continuum narrativo che permette di identificarsi con i protagonisti, di lasciarsi coinvolgere dalle loro vicende, di sentirsi parte integrante della carovana, di persone e eventi, che marcia incessantemente per l’America dei giorni nostri, privi di certezza alcuna, ma comunque capaci di sopravvivere a stretto contatto col prossimo. Libero delle costrizioni figlie di serie a lungo termine, potenzialmente infinite, quali potrebbero essere Dylan Dog (per la quale ha anche scritto diversi numeri) o lo stesso Nathan Never, Michele Medda sfoga su carta le sue passioni e i suoi interessi, miscelando la cultura pop agli orrori della seconda guerra mondiale (la strage di Gorla e solo uno degli episodi narrati), l’immaginario collettivo americano (basti citare le rockstar belle e dannate o le bande armate, sul filone de I guerrieri della notte, piccolo gioiello di Walter Hill) e la cultura dei nativi americani, in un crescendo narrativo in cui la musica segue di pari passo le immagini, in cui Davide Donati (il giovane narratore, quasi onniscente, dell’intera vicenda) e gli altri personaggi (a conti fatti, al di là dell’importanza che viene loro riservata all’interno della serie o del singolo episodio, sono tutti protagonisti, nel bene e nel male) interagiscono con le loro paure e i loro sentimenti, riscoprendo sé stessi e la “gioia di vivere” al di là delle avversità, piccole o grandi che siano. Un enorme foglio bianco ricolmo di pensieri e passioni, in cui ci sono solo rare discrepanze e in cui le imperfezioni potrebbero, quasi, passare in secondo piano (si vedano ad esempio i metodi brutali dell’esercito o l’esser costretti a marciare in lungo e in largo senza ricevere spiegazione alcuna). Certo l’eccessiva verbosità della serie potrebbe essere considerata un punto a sfavore, a conti fatti buona parte dei tempi narrativi è gestita all’interno di mezzi di trasporto o aree di sosta, ma la si può vedere più che altro come un tentativo per dare maggiore spazio all’individuo piuttosto che all’eroe. Spazio in cui chiunque può essere un eroe, godere dei suoi quindici minuti di celebrità (come diceva Andy Warhol), anche solo per aver trovato un oggetto che nella vita di tutti i giorni daremmo per scontato di avere a portata di mano. Dal punto di vista prettamente visivo, Caravan, non sfigura, potendo vantare tra gli altri la collaborazione di Stefano Raffaele (autore di X-Factor per la Marvel), Werner Maresta (al suo esordio su una testata Bonelli) e Emiliano Mammucari (autore anche delle magnifiche copertine e disegnatore di John Doe). In conclusione ci troviamo di fronte ad un prodotto anomalo quanto soprendente, un esperimento che ci si augura venga ripetuto in futuro, in quanto l’intento di mescolare avventura, mistero e dinamiche di gruppo è riuscito in maniera più che dignitosa e, trattandosi di un fumetto popolare, la cosa deve rasserenare ancora di più. Uno sguardo su quanto potrebbe riservarci il futuro, un primo passo in una direzione diversa.
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