25.2.10

[RECE] Lost season 1 ovvero "Trappola per topi"



1008 minuti su un'isola per arrivare alle seguenti conclusioni:

-Far nascere un figlio è traumatico. E dopo che avranno provato a rapirti non vorrai più averlo.
-Gli orsi polari escono dai fumetti di "Torcia Verde" (lode ai traduttori)
-Un paraplegico può riprendere a camminare.
-Il fumo fa rumore. Lo stesso di una gru quando si scontra con un camion.
-Se tuo padre ti odiava e ora non è più in vita, sicuramente lo rivedrai in abito da sera e scarpe da tennis bianche.
-I cellulari si rompono sempre.
-Non ci si può fidare dei francesi.
-Se sei sovrappeso tutti ti odieranno.
-Se sei sovrappeso ti convincerai di portare sfortuna.
-Se provieni dal medioriente ti soprannomineranno "Capitan Falafel".
-Se sei innamorato della tua sorellastra lei s'infatuerà di "Capitan Falafel".
-C'è sempre della droga nascosta in delle statuine della vergine Maria.
-Tuo figlio ti vorrà bene anche se negli ultimi nove anni non era a conoscenza della tua esistenza.
-I paradossi temporali non esistono.
-Avrai sempre i denti bianchi.
-I beauty case non si rompono mai.
-Chuck Norris non c'è mai quando serve.
-Se sei koreano tua moglie ti metterà sicuramente in ridicolo.
-Se sei un professore farai sicuramente una brutta fine. Anche per via della tua parlantina.
-Se sei la "figa" del gruppo non è detto che nei campi lunghi non si vedrà la cellulite sui tuoi fianchi.
-John Locke sa sempre cosa fare, anche se non lo ha mai fatto prima.
-Se tuo padre è contento di rivederti dopo quarant'anni di lontananza è perché vuole un tuo rene.
-Non sei il frutto di un'immacolata concezione, ma di un trip di troppo per Damon Lindelof e JJ.
-I facoceri sono vendicativi.
-Se Lei è pienamente coinvolta dalla visione di "Lost" e tu parli ininterrottamente per tutti e venticinque gli episodi quasi sicuramente s'incazzerà da morire.

E questa era (è?) la prima stagione di "Lost" dal mio punto di vista. Fortuna che il cofanetto è costato 8,90€

P.S.
La curiosità di sapere cosa ci sia in fondo alla scala, comunque, rimane, quindi la seconda stagione, almeno, la vedrò sicuramente.
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22.2.10

Stanno tutti bene




Suo padre fa il calzolaio, ripara scarpe da una vita, una suola dopo l’altra. Tutto per pagargli un’istruzione, per farlo diventare un uomo importante. Sostanzialmente un uomo.
Di quelli veri, con addosso un abito elegante anche quando cucinano la carne la domenica o vanno in spiaggia sotto il sole d’Agosto. Un manichino imbellettato e servo del suo mestiere, che a lui il bombarolo del Faber non ha insegnato proprio nulla. Lui se ne frega, fuma il suo spinello quotidiano, si perde nei di lei capelli, ne accarezza le chiome violacee. Anacronistiche, quasi ucroniche. Allo studio ci pensa raramente, le sue attenzioni sono tutte per un paio di curve, per quella fraschetta della domenica all’ora di pranzo. Un bicchiere di vino e tanta felicità. Suo padre perde la vista per inseguire chiodi troppo curvi o che di curvarsi non ne voglion proprio sapere e cerca di non ascoltare sua moglie quando gli dice che suo figlio è uno scapestrato, che non farà mai strada, che dovrebbe dedicarsi maggiormente alla piccolina, lei si che promette bene. Lui si tappa le orecchie per non sentirla ciarlare. Crede ciecamente in suo figlio, diverrà un uomo vero. Importante. Lui al diciassettesimo compleanno decide di lasciare il nido, andrà a cercare fortuna in giro per il mondo, con la sua arte, con la sua inventiva precaria, da figlio della gleba che guarda alla borghesia, ma non passano nemmeno tre mesi che si ritrova ad esprimere la sua arte sotto un ponte, cantando storie di uomini erranti, di luoghi incantati e viaggi immaginari fatti di costellazioni, universi paralleli e trip lisergici. Il tutto con una chitarra a quattro corde, che suona come un basso senza amplificatore, per dieci centesimi di euro e uno sguardo dolce, per un pasto caldo, ma anche freddo. E per poter tornare da suo padre e dirgli che aveva torto e che, invece, sua madre aveva ragione, non sarebbe diventato mai un uomo, di quelli importanti. Suo padre ha smesso di lavorare, passa le giornata nel parco vicino casa, esce la mattina alle sette e porta con sé una busta di pane grattugiato e un giornale del mese prima, che le notizie brutte e meglio apprenderle il più tardi possibile. Ripone fiducia nei colombi che nutre costantemente e amorevolmente,  quotidianamente, quasi fossero figli da crescere, da ammirare. In cui riporre fiducia incondizionata. Torna alla sera, mesto e senza una briciola di pane, la moglie gli chiede se ripensi mai a suo figlio e lui le risponde che starà sicuramente bene, sarà diventato un artista importante e si vergognerà delle sue umili origini e della sua famiglia da quattro chiodi e una suola di cuoio duro. Piove e quel ponte non è poi quel locus amoenus che narrava sempre nelle sue storie. Prova a  immaginare che faccia abbia ora sua sorella, dopo dieci anni, se frequenti qualcuno e se suo padre la lasci uscire liberamente o le imponga un qualche coprifuoco. E’ il 23 Luglio, da qualche parte un bambino emette il suo primo vagito, Andrew Cunanan pensa bene di togliersi la vita in una house-boat, dopo aver compiuto una strage a colpi di martello e calibro .40 e lui sta steso sull’erba, la sua chitarra da quattro corde è diventata un borsone rigido. Conta le poche nuvole sparse nel cielo di mezz’estate, pensando a Shakespeare e al tempo perso, accarezza la sua barba che del rossore di una volta ne conserva soltanto un vago ricordo, impasta la saliva con una foglia di tabacco e quando sente un tintinnio nella sua ciotola di latta alza lo sguardo. E vede un uomo anziano in impermeabile e cappello, vorrebbe tanto stringerlo a sé e dirgli una miriade di cose, ma quella timida figura si limita a sorridergli, quasi inebetita, e ritorna sui suoi passi, con in mano una busta di pane grattugiato piena fino a metà. Solo allora lui trova il coraggio di parlare, gli chiede se abbia una famiglia, il vecchio sistema bene gli occhiali e lo guarda dritto negli occhi. Stanno tutti bene, gli dice, poi torna sui suoi passi.
Quella sera suo padre torna a casa col sorriso, abbraccia sua moglie e la bacia come non faceva da anni. Quella sera lui torna sotto il suo caro ponte, chiude gli occhi e sogna di essere un importante uomo d’affari. Un uomo, in sostanza.
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Ma quanto sono fighe?



















Per me parecchio.
Il tutto è per un'iniziativa benefica di Tarantino & Co. a favore dei terremotati di Haiti.
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Cose che mi sono perso...





...ultimamente:
-Una ventina di ore di sonno (a partire dalle ultime due notti passate a fissare il soffitto)
-Un paio di idee decenti
-L'anno in cui è morto Versace (e mi pareva di ricordarlo bene e sull'argomento ci tornerò poi, sicuramente)
-L'ultimo numero di Skorpio (che già leggo a rilento ultimamente, i fumetti, se poi incomincio anche a dimenticare le uscite...)
-Un paio di idee (ma ne ho trovate delle altre, credo)
-Un paio di libri (c'è solo lo spazio vuoto sulla libreria, però non ricordo i titoli)
-The Wolfman (che sembrava tanto figo, ma me lo stanno smontando tutti, tra un po' anche il mio criceto inesistente ne parlerà male)
-La capacità di non ripetermi (v. "un paio di idee")
-Un trolley di dimensioni decenti da portare a Mantova (perché 25€ per un bagaglio da mettere in stiva non li pago)
-Joe R. Lansdale (perché non ho il tempo necessario a raggiungere la Feltrinelli a 200 metri da casa)




Aggiornamenti vari, ovvero "Cosa bolle in pentola":
-Pink Floyd
-Doors
-Aldous Huxley ("Le porte della percezione", poi "Il mondo nuovo")
-Richard Matheson ("Io sono Helen Driscoll" è a metà, finirà a breve)
-Fredric Brown ("La sentinella e altri racconti", letto in buona parte)
-L'Australia (e su questo ci tornerò poi, molto probabilmente)
-Carlos Castaneda ("Gli insegnamenti di Don Juan" è da finire, quasi a metà, poi un altro paio di cose)




Note dal fronte:
-La sindrome di Asperger
-Moore, Mendel e Morse
-I frullati
-Gli hiragana e i kanji




Ah, oggi è lunedì, piove e la maglietta di Flash si è scolorita. E c'è anche il sottofondo ideale.


Buon inizio di settimana.
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19.2.10

Variant cover





Il blog in questione è Covered e lo ha segnalato un paio di giorni fa Tito Faraci sul suo blog. Alcune "riedizioni" sono veramente ben fatte, come ad esempio questa (che in originale è di Mignola) o questa (e questa è l'originale di Watterson).


Ah, sempre in tema di "improbabilità", ci sono questi due post di Oddee su cinema e fumetti, Hansi la trovate anche su Covered.


E si, l'immagine scelta per il post non è casuale, chi se non lui?
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17.2.10

Dell'importanza del frullato



“Ti amo” sta scritto in uno di quei cuori di peluche appesi al vetro posteriore, la macchina è una vecchia punto di un bordeaux metalizzato che è tutto un programma, l’alettone sporgente e gli spoiler modificati servono a calarsi nella parte.
Non si ferma mai con il giallo né, tanto meno, con il rosso, sempre di corsa, un metro dopo l’altro. Attraversa il viale alberato da mille palazzi di forme differenti e raggiunge la piazza al centro, la circumnaviga e scompare all’orizzonte, lasciando dietro di sé una scia di fumo e rose, un paio di insulti e tanta rabbia, ma non le importa.

Lei, Sara, ha trentacinque anni, tre figli a carico e due canarini, all’inizio erano tre, proprio come i figli, ma uno fu talmente saggio da farsi mangiare da un gatto ad un mese dall’acquisto.
Lui, Adriano, l’ha lasciata quando di anni ne aveva ventinove, probabilmente per una brasiliana, nessuno lo seppe mai con certezza.
In ogni caso lei non lo ha mai amato, le piaceva soltanto andarci a letto, in quello era davvero bravo.
Lei ha due gemelli di dieci anni, Cesare e Augusto, nomi importanti per due bambini viziati, e un altro figlio, Giacomo, di dodici. Tra di loro non parlano mai, nemmeno i gemelli. Cosa strana.
La radio della punto è sempre spenta, ogni tanto l’accende, solo per ascoltare qualche vecchia musicassetta in cui Ornella Vanoni le dice che c’è una ragione di più per andare avanti.
“Ti amo”, quel cuore penzola inesorabile e alla ventosa ha sostituito della colla, al brivido della carne quello per la velocità.
Lui sogna pareti grigio antracite, finestre trapezoidali e colonnati dorici, lei ascolta Caterina Caselli, le ricorda tanto il suo uomo e tutte le volte che s’incontravano, anche soltanto per un quarto d’ora di passione. Di follia.
Lei sfreccia veloce, la tangenziale è un vago ricordo, tre chilometri che passano via in un attimo, suo figlio, quello grande, le tira i capelli e continua a urlare, vorrebbe un frullato alla fragola, ma non ha il coraggio di chiederlo a sua madre, che per tutta risposta lo lascia a scuola e sfreccia via. “Freccia rossa” la chiamano i compagni di suo figlio, sembra quasi il nome di un modellino di aereo, che gli aerei veri nessuno si sognerebbe di chiamarli con questo nome.

Lui non dorme, non pensa, è rimasto solo, sogna una prigione da cui evadere facilmente, un lago di lacrime dolci in cui immergersi al mattino e uscirne la sera. Sogna una ballerina brasiliana, dai fianchi larghi e accoglienti.
Giacomo, che di suo padre non ha il minimo ricordo, pensa che sia giusto riceva quel frullato alla fragola, del resto è il suo compleanno e la madre non si è nemmeno ricordata di fargli gli auguri, ma va’ sempre di fretta, la giustifica così, proprio come i gemelli, quindi le invia un sms, con quel cellulare ottenuto per grazia ricevuta dopo mille piagnistei.

Quando Sara riceve il messaggio sta raggiungendo a poco più di cento all’ora un incrocio a tre corsie, prende in mano il cellulare, un Nokia antidiluviano, e invece di leggere il testo lo sguardo le cade sulla macchina alla sua sinistra, Adriano sfreccia altrettanto veloce, ma nel senso opposto. E’ un gioco di sguardi di un attimo lungo una vita, lei vorrebbe maledirlo, baciarlo, lui vorrebbe girare lo sguardo dall’altro lato, ma non ci riesce. Poi soltanto il tonfo sordo e della punto bordeaux ne rimane un vago ricordo. Il cuore di peluche continua a penzolare, proprio come la testa di Sara in questo preciso momento."Ti amo".

Il messaggio recitava “Mammina mi compri un frullato alla fragola? Ti voglio bene, Giacomo”, quello stesso giorno Giacomo, come ogni anno, ricevette l’ennesimo messaggio anonimo, un formale “Auguri” e per una volta sperò fosse suo padre ad averglielo scritto. Un gioco di sentimenti mal riposti e mai ricambiati.
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13.2.10

If...




E se Robert Neville fosse stato albino?
E se non fosse finita in quel modo?
E se non fosse uscito il film di Martin Lawrence?
E se Vincent Price fosse ancora in vita?
E se il sole sorgesse sempre alle 7.45?

Troppe domande. E nessuna risposta.

Ah, pomeriggio QUI, c'è la presentazione di GIUDA.
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11.2.10

11 Febbraio 2010





Ci sono "cose" che volenti o nolenti vanno fatte.


Ho sempre evitato di schierarmi, apertamente, per un qualche partito politico e/o di manifestare volontariamente (e incessantemente) per una causa "politica" se non a titolo strettamente personale (ragion per cui questo sarà il primo e ultimo intervento di questo genere ed evito anche di scendere nei dettagli), tuttavia il caso in questione lo reputo un tantino differente.


Riporto quanto scritto sulla pagina dell'evento creata su Facebook:


"NELL'ANNIVERSARIO DELLA RIVOLUZIONE DELL'IRAN, RICHIEDIAMO ANCORA DOPO 31 ANNI LA DEMOCRAZIA, ED I DIRITTI UMANI PER IL NOSTRO PAESE A FIANCO DEI NOSTRI CONNAZIONALI CHE CONTINUANO A LOTTARE IN IRAN."


Oggi a Piazza della Repubblica dalle 17 alle 19.


Maggiori informazioni: QUI
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9.2.10

Corpo. Macchina.



Oggi tira così, se ti arrabbi troppo finisci per perderci fegato, polmoni e cervello.
Meglio rimanere calmi.
Gli piaceva immedesimarsi nei film, credere di essere uno dei freak incontrati da Amélie Poulain, la speranza che anche a lui potesse piacere qualcosa che puntualmente una voce narrante metteva in evidenza.
"A Marco piace sentire le gocce di pioggia cadere sul suo cappuccio nei giorni invernali"
"A Marco non piace dover fare un’ora di fila per dover pagare una bolletta"
E poi, come tutti i giorni, camminava su quel sentiero poco alberato che da casa sua lo portava sul posto di lavoro. Sempre a piedi, i mezzi li lasciava prendere a tutti gli indaffarati che quotidianamente gli passavano davanti.
Simon & Garfunkel nell'iPod cantavano "The sounds of silence" e mestamente lui raggiungeva l'agognata, neanche tanto, meta. Sempre le stesse espressioni, mai nessuna novità di rilievo, una buca qui, una lì, una pala nuova da comprare -che al giorno d'oggi si logorano troppo facilmente, soprattutto se non usi le dovute precauzioni- qualche sigaretta rubata al collega e un'eterna pausa pranzo. A volte. Credeva fossero cipressi, ma non si era mai dato cura di chiederlo al suo datore di lavoro, lui sicuramente avrebbe saputo rispondergli, ma non trovava mai il coraggio o l'attimo giusto.
Uno dei suoi momenti preferiti era quando si perdeva nella fantascienza a metà strada trai settanta e gli ottanta, generalmente gli succedeva mentre rientrava intorno alle sei del pomeriggio.
"Ho visto cose che voi, vivi, non potete nemmeno immaginare"
"Giacomo io, Matteo, sono tuo padre"
E, nella più totale monotonia, tornava a casa. Non c'era mai nessuno ad aspettarlo, nessuna cena calda e nemmeno fredda da riscaldare al microonde. Lui, che il microonde nemmeno lo aveva perché tanto pranzava sempre fuori e la cena era sempre in scatola. Nessun telefono che squillava.
Ogni tanto usciva a prendere una birra, ma erano rare le volte. Il suo collega non usciva mai, era già tanto se gli rivolgeva la parola durante il turno. Andrea, persona cara e taciturna, mai un sorriso di troppo, mai un sorriso a dire il vero.
Il momento della giornata che preferiva in assoluto era quello che intercorreva tra il mettersi sotto le lenzuola, orientativamente alle undici di sera, e il prendere sonno, incominciava a fantasticare su qualche film fantasy, tanto per conciliarsi il sonno. E i sogni.
"Il mio cussssssssscino!"
"Ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell'umanità, quindi Phantàsia non può avere confini"
Chiudeva gli occhi e immaginava un mondo migliore, in cui Bob Dylan aveva ragione, in cui i tempi erano realmente cambiati, ma in meglio, ma quando si risvegliava, il giorno dopo, tutto era come l’aveva lasciato. Il suo lavoro era sempre lo stesso, le bare da catalogare costanti, l’espressioni di Andrea sempre le stesse. 
Ogni tanto ascoltava l’iPod anche durante le ore di lavoro, tanto nessuno si sarebbe offeso, e “Hey that’s no way to say goodbye” di Leonard Cohen rendeva più sopportabile la pioggia primaverile e l’asfissiante caldo estivo.
Oggi tira così, se ti arrabbi troppo finisci per perderci fegato, polmoni e cervello.
Meglio rimanere calmi. Soprattutto quando si ha a che fare più coi morti che coi vivi.
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Can't get used to losing you





Bene, a quanto sopra aggiungete Anthony Hopkins in versione dio (quindi classica tunica bianca, barba e capelli lunghi e canuti) mentre si aggira in una cucina minimal e otterete solo una minima parte della follia che si agira per il mio cervello da tre giorni a questa parte.

Tanto per non sprecare il post, brevissima comunicazione di servizio:
Tra oggi e domani posterò un paio di cose nuove.
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8.2.10

Giusto per tenersi impegnati





Perché febbraio avrà anche 28 giorni, ma di "eventi" ce ne sono. Sembrerebbe.


09.02
Local Natives+Sadside project+Female+Malfunk (QUI)
Claudio Santamaria versione musicale m'incuriosisce, come attore mi piace, il Dandy di "Romanzo criminale" lasciava il segno.
I Local Natives sembrano parecchio interessanti.


14.02
Wi-Fi art: Japan in Love (QUI)
Che di wi-fi art finora ne ho perse anche troppe.


16.02
Glorytellers (QUI)
Recente "scoperta", con Geoff Farina ero rimasto parecchio indietro. Nella colonna di sinistra anche il link al MySpace.


17.02
Leonard Cohen book party (QUI)
Perché Cohen sa il fatto suo e poi ci sono i Giardini di Mirò, The Niro e Giancarlo De Cataldo (giusto per rimanere in tema "Romanzo criminale").


19.02
Wolfman di Joe Johnston (che se mi rovina Capitan America farà una brutta fine). Perché ci sono Benicio Del Toro, Anthony Hopkins (della cui figura sto ultimamente abusando) e Hugo Weaving (che tanto avrà sempre la stessa faccia).


23.02
Dave Matthews Band, ma non andrò:
1) Perché non ho 69€
2) Perché il Palalottomatica è irraggiungibile in meno di 45 minuti di macchina.


26-27-28.02
A Mantova per il Mantova Comics & Games.




Ed usciranno anche "Codice: Genesi" (ma quanto è brutto il titolo italiano? E i fratelli Hughes sembrava fossero morti definitivamente e invece se ne escono con l'ennesimo film con Denzel Washington. Spero cambino il doppiatore di Gary Oldman perché non si può sentire.), "Invictus" (Clint non tradirmi) e "Il profeta" ("Tutti i battiti del mio cuore" a suo tempo mi era piaciuto, sono fiducioso), ma ci vorrà Marzo per vederli.
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5.2.10

Metallo urlante



Sono nato un giorno d’inverno.
I miei, quando ero piccolo, mi raccontavano sempre che quel giorno l’intero cielo si era riversato sulle loro teste e che fulmini avevano squarciato le nubi. L’apocalisse.
Non so perché, ma ho sempre immaginato di esser venuto al mondo portato in braccia da uno dei quattro cavalieri dell’apocalisse. Pestilenza magari.
Mi rafforzavo con il passare dei giorni, immaginavo le infinite potenzialità che il mio corpo e i miei muscoli potessero offrirmi, flettevo le braccia e immaginavo di librarmi in aria.
Pindarici voli che mi permettevano di staccarmi dall’apocalisse che si era, questa si, effettivamente generata durante la fredda guerra. Immagini in movimento, illusioni. Una fuga premeditata dalla grigia realtà.
Volevo diventare un aviatore, servire il mio paese. A dodici anni iniziai a manifestare un concreto interesse per il volo. Tartassavo i miei con assurde ed esose richieste, dipendevo dall’aria. Non volevo più rimanere ancorato al suolo. Confinato sulla piatta terra. Perché la terra è piatta, non credete a chi vi dice che sia rotonda, una sfera. Tutte fandonie.
Di infinito ci sono soltanto il cielo e lo spazio sovrastante. Sterminate galassie, ammassi di nebulose, stelle, supernove, pianeti, asteroidi. Infinite possibilità.
Avvertivo i cambiamenti nel mio corpo, sentivo un’incessante potenza scorrere nelle mie vene, i miei muscoli erano instancabili, riuscivo a percorrere enormi distanze in poco tempo e senza il minimo sforzo. Sollevavo pesi che un uomo comune non penserebbe nemmeno di poter tangere. Mi sentivo un dio. Sceso in terra insieme ai quattro cavalieri dell’apocalisse in quel freddo giorno d’inverno.
E così mi arruolai nell’esercito. Ed anche lì riuscii ad emergere dalla massa. I miei compagni camerati erano vacue nullità, brandelli di carne ammassata, si affannavano a completare il percorso di allenamento nel minor tempo possibile, e li vedevo raggiungere il traguardo paonazzi, sfiniti. Ed io ero lì ad attenderli, lindo, immacolato. In breve tempo riuscii a fare carriera e già il mio nome correva per le vie della grande capitale.
Non trascorse molto tempo che effettivamente i vertici dell’esercito mi convocarono.
Una missione speciale per un individuo speciale. Avrei affrontato il nemico all’interno del suo territorio. Sarei penetrato nella tana del drago armato soltanto del mio coraggio e di un Remington 870. Si, scelsi un’arma del nemico. Le fabbricavano in maniera migliore e non volevo si verificassero inconvenienti. Più di una volta avevo visto arti dei miei compagni saltar via a causa di un malfunzionamento delle nostre armi.
Era un giorno soleggiato, lo ricordo come fosse ieri, quello in cui partii per la mia missione. Abbracciai forte mio padre e baciai tre volte mia madre sulle guance. Sapevo che probabilmente non li avrei mai più rivisti. Era una missione suicida, ero stato avvisato.
Ma l’orgoglio di poter servire in maniera più che dignitosa la mia nazione, di potermi guadagnare un posto tra i grandi, lì sul momento nella grande piazza, mi spinse ad accettare senza riserve.
Una tragedia. Fallimento.
Non avevo minimamente pensato fossero così organizzati, né tanto meno che sapessero del mio arrivo. Che mi attendessero con le armi spianate. Pronti a distruggermi. Si, perché non sono umano, ormai lo so. Ne prendo atto. Non sono nemmeno vivo. E ciò che non vive non si può uccidere, lo si può soltanto distruggere. Annullare. All’interno del mio petto batte un cuore meccanico, le mie gambe sono di acciaio e le mie mani hanno articolazioni di viti e bulloni. Il mio cranio è composto da scarti di ferro, zinco e ossa di qualche povero disgraziato caduto su un non precisato campo di battaglia.
Ormai so anche che il mio nemico era in realtà la mia stessa nazione, che i miei genitori in realtà erano una coppia di bovari e zappaterra della steppa e che la mia amata nazione, la gloriosa madre Russia mi aveva creato col solo scopo di sperimentare nuove tecnologie da applicare poi sul campo di battaglia. Ne sarebbero stati creati altri simili a me. Altri fratelli di ossa e acciaio, magari privi di un cervello e di una volontà propria. Per i quali non sarebbe stato necessario creare una serie di bugie su cui costruire le loro vuote infanzie. Perché io non sono mai andato in accademia, non ho mai avuto dodici anni, non ho mai chiesto ai miei di entrare nell’aviazione. Non ho mai vissuto.
Sono un blocco di granito vergine, nelle mie precedenti incarnazioni sono stato della carne equina, delle ossa di maiale, dei pilastri dell’alta tensione, delle viti per un giocattolo di qualche bambino viziato e piagnucolone. Sono stanco. Desolato. Irato. Depresso. Non so neanche più se quello che ho davanti sia vero oppure sia un altro refuso del mio indottrinamento originale. E’ una tragedia. Ho ucciso. Li ho uccisi tutti. Non volevo credere a quanto mi stavano dicendo, ma poi ho visto i miei fratelli venire assemblati da altre macchine ed ho dovuto ricredermi. Sono anche io una macchina. Un abozzo di androide e non sarò mai umano. Non sarò mai vivo.
Tanto vale allora farla finita, abbandonarsi all’oblio definitivo. Un colpo secco, deciso.
E via. Ora sì, vedo la luce. Fletto le braccia, sono nel vuoto, nessuno riesce ad afferrarmi.
Il mio chip emozionale esplode in un caleidoscopio di colori e suoni, mi si offusca la vista, tutto è bianco, tutto è tutto e niente al contempo. Immagini affollano la mia mente, ricordi che non ho mai avuto. Sto volando. Mi sento realmente vivo per la prima volta. La carne stride, urla, a contatto con le mie parti metalliche. Ora so che cosa significhi essere realmente uomini. So cosa vuol dire volare, librarsi nell’aria. Essere liberi. Peccato averlo scoperto così, solo ora.
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3.2.10

Giusto per farsi un po' i cazzi miei




Di recente ho letto:

-Eterni vol.1
Lo stile di Daniel Acuna mi piace, il tono è completamente diverso da quello del volume scritto da Gaiman (oh a me Romitino non piace per niente), che diciamolo non brillava più di tanto. Anzi a dirla tutta era abbastanza deludente

-Ramayan 3392 A.D.
Shekar Kapur, a cui sono grato per "Elizabeth" (e relativo seguito), ma non per "Le quattro piume" (e pace all'anima di Heath Ledger), riscrive il mito del principe Rama. Un tantino confusionario, ma abbastanza "immaginifico". Personalmente non vale i 13€

-Il Ramayana
Peccato solo non ci fosse il testo originale a fronte, l'hindi è figo anche solo da guardare. Colmata una grave lacuna.

-Maya e Aztechi
Monografia a tema, come si può intuire dal titolo. Credo.

-The viking gods
Saggio con estratti dall'Edda di Snorri Sturlusson, abbastanza interessante.
Il testo originale devo recuperarlo.

-Northlanders vol.1
Gianfelice magnifico (le cover di Carnevale è inutile che mi esprima), per il resto devo solo trovare i soldi per il secondo volume (e soprattutto scoprire se è uscito o meno). Sempre di Gianfelice mi incuriosisce Greek Street, e ci sto facendo un pensierino sull'acquistarlo in originale.

-Loveless vol.1
Dopo oltre un anno di polvere sulla libreria, ora mi mancano secondo e terzo. Frusin piacevole scoperta.

C'è Stark, di Edward Bunker, che è quasi finito, poi passero a Il potere del cane di Don Winslow.


MOMENTO DI VANTO

Mi hanno regalato la deluxe edition di Batman Year one di Frank Miller, da (ri)leggere irrimediabilmente e della Lega degli straordinari Gentlemen vol.1 (c'è in allegato l'intera sceneggiatura di Alan Moore, bozzetti preparatori di O'Neill e molto altro), appena ho qualche soldo compero il secondo volume.



E concluderei con due citazioni, giusto a mò di "Work in progress":

"Una religione è un sistema solidale di credenze le quali uniscono in un'unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono" (Emile Durkheim)

"I Masai (o Maasai) sono un popolo nilotico che vive sugli altopiani intorno al confine fra Kenya e Tanzania. Considerati spesso nomadi o semi-nomadi, sono in realtà tradizionalmente allevatori transumanti, e oggi spesso addirittura stanziali (soprattutto in Kenya).

Mescolate il tutto con una serie di miti africani, tanta violenza, una divinità bipolare. Il resto poi...

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