Quando il primo colpo va a segno lo sguardo dei presenti è attonito, incredulo. Nessuno si sarebbe mai aspettato che Davide potesse riuscire a colpire Golia.
Una danza di sangue carica di paure e indecisioni.
Il primo saltella sulle punte dei piedi, schiva prima un dritto e poi un rovescio, è esile, sessanta chili di magra carne messicana intrisa di adrenalina, il secondo è gargantuesco, un'insormontabile montagna di muscoli e odio, gli occhi di ghiaccio lo rendono minaccioso e nessuno oserebbe immaginare che nel privato ami travestirsi da donna, gli piaccia esser sottomesso. Dominato.
Qui sul ring è una macchina messa in piedi per abbattere ogni ostacolo, da Primo Carnera e Smokin’ Joe Frazier, fino al piccolo Davide, un Manny Pacquiao mai tanto insicuro della scelta compiuta nell'attimo in cui ha accettato la sfida. Pensa che forse avrebbe potuto riflettere se era il caso o meno di vendere l'anima al dio denaro una volta tanto.
Al primo rintocco del gong si sfiorano i guantoni, il sudore imperla i bicipiti e la fronte, le occhiaie di Golia, frutto di una notte brava tra alcol e donne, vengono messe in risalto dai neon del Madison Square Garden, Pacquiao lo studia, non affonda per primo, lascia sia l'avversario a fare la prima mossa, lui si limita a provocarlo. Volteggia le braccia, lo indica, gli saltella intorno, lo punzecchia con un jab al fianco destro, un doppio passo e gli è alle spalle, Golia è troppo lento, non sarebbe dovuto tornare in hotel alle quattro del mattino, ora ne paga le conseguenze.
Ed è quella scarsa lucidità, mista alla rabbia repressa, a spingerlo in avanti. L'angolo destro del ring, quello in cui il piccolo messicano ha trovato ristoro nell'attesa di un suo passo, falso o meno non importa, non gli pare poi così lontano.
Ed è, proprio in quel preciso momento, dopo venti minuti di attesa, che si lancia a braccia aperte, pronto ad incornare l'avversario, come un toro per le vie di Pamplona e, nello stesso preciso momento, realizza di aver commesso un grandissimo errore, la difesa è scoperta, il petto esposto a qualsiasi tipo d'intemperie e un colpo ben assestato potrebbe causargli non pochi problemi.
E questo, il piccolo Manny, lo sa. Accarezza la barba col guantone destro, rimuove quel po' di sudore frutto degli alogeni, cambia la sua posizione e quando Golia gli è addosso ha giusto il tempo per scansarsi e colpirlo con un destro in pieno fianco. Le costole si incrinano quel tanto che basta per spostare il baricentro dell’avversario e far si che la piccola preda si trasformi in un predatore implacabile. Golia è schiavo di una vita a cui ha rinunciato anni fa, di eccessi, esagerazioni. Quando il gigante frana sulle corde del ring il piccolo Manny sa con certezze che è l’unico momento in cui potrà colpirlo, l’unica occasione in un intero scontro, prima che la macchina si risollevi e lo investa con tutta la sua potenza.
Il gancio sinistro parte, una rapida sequenza, costato e mascella. Il colpo trasforma le ossa in polver, il sangue sale su per la gola come un torrente in piena. E golia si accascia al suolo, per l’ultima volta.
Poi il tripudio, indeciso, degli astanti. E i riflettori sono tutti per lui, per Davide che ha sconfitto Golia.
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