31.3.10

[RECE] Brevissimamente in breve "Non morirò da preda" e "Batman B&W"



Il primo si crede Gipi. A torto. Perché? Perché alcune trovate mi sono piaciute parecchio, ma tutto il resto, per me, è da dimenticare (molto meglio il precedente volume).

Del secondo si salvano una cinquantina di pagine sulle quasi (o oltre, non ricordo) dell'intero volume.
Mitica Planeta che è riuscita a stampare male le ultime 40 pagine. Grazie.
E, Mignola, torna a disegnare per piacere.
E stamattina ho pure la maglia di Batman, cazzarola.


Ah, sarà il cambio di stagione, sarà altro, ma sto uno schifo.
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30.3.10

[RECE] Il Santopremier



Il nome di Marco Galli, ricordo, l’ho sentito, mea culpa (e poi ci arriveremo), per la prima volta intorno a Dicembre, quando scoppiò il marasma sul blog di Roberto (funzione “Cerca nel blog” per gli interessati, che non mi pare proprio il caso di linkare quel post), non avevo idea di cosa fosse “Il Santopremier”, ricordo che la descrizione presente sul sito della 001 in effetti mi aveva lasciato un po’ basito e niente di più. 


Trascorsi un paio di giorni e placatasi la tempesta su quello spezzone mi è tornato in mente “Il Santopremier”, ho googlato un po’ e sono riuscito a trovare qualche estratto della trama e un paio di vignette sparse. Il tanto è bastato, tuttavia, per incuriosirmi e spingermi all’acquisto del volume.

Tempi recenti. Mantova, c’è lo stand della 001 Edizioni, e c’è anche Marco. Rapida presentazione e gli prometto che il volume lo comprerò il giorno seguente (domenica), senza tener conto del fatto che sabato sera sarei uscito e avrei speso l’impossibile in quel benedetto pub irlandese (sempre gloria agli irlandesi, che disseminano pub in ogni angolo del mondo, poi gestiti da autoctoni, ma questo è un altro discorso) e che quindi mi sarei trovato con giusto i soldi per tornare a Milano e da lì prendere l’aereo per Roma (anzi, a dire il vero neanche quelli). Gli prometto che lo acquisterò a Milano, durante il Cartoomics. E così ho fatto.

Bene, dopo averlo letto sul treno, di ritorno a Roma (un’altra domenica, quella appena passata) mi pare il caso di parlarne. E diciamolo subito il mantra per la felicità eterna (quello che Marco ha imposato come frase personale su Facebook) c’entra poco e niente con la storia, perché "Il Santopremier" è quanto di più crudo e vero abbia letto di recente. Fanculo a tutte le critiche (e alcune le avrei anche, ma le riservo per il privato e per altre sedi), la commistione tra testo e vignette riesce alla perfezione e il fatto che ci siano animali antropomorfi, un agente di nome Blue Valentine e una storia composta da tanti piccoli tasselli che finiscono per incastrarsi nel finale, la rendono una graphic novel (che ultimamente ho preso in odio ste distinzioni, ma qui mi pare proprio calzi a pennello) di tutto rispetto.
E come diceva Alberto (Ponticelli) io un paio di volumi da regalare ad amici e parenti li prenderò sicuramente.
Be’ in sostanza (e qui mi contraddico con quanto detto prima) “Comprate il Santopremier” può anche starci, vi renderà felici per aver speso 15€ in maniera saggia. E io aspetto altro di suo.
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The wicker tree



Se nell'header del blog ci sono Christopher Lee e un uomo di vimini (o di paglia, fate vobis) un motivo ci sarà (leggi: È uno dei miei film preferiti in assoluto).

Se Nicolas Cage e nonricordochi decidono di farne un pessimo remake (che in italiano si intitola anche "Il prescelto", il che mi pare un biopic su Cage stesso, che pur non valendo uno sputo di vacca è riuscito a fare carriera) avrò anche ragione di incazzarmi.

Se ad incazzarsi è Robin Hardy (regista dell'originale del 1973) che decide di realizzare il seguito ufficiale della pellicola (per altro lui è anche co-autore del romanzo originale insieme a Anthony Shaffer, un altro a cui voglio veramente bene per "Sleuth" —l'originale con Olivier e Caine, non il pessimo remake con Caine e Law diretto da Branagh) e di coinvolgere nuovamente Christopher Lee, ho ragione di essere veramente contento.

Bene, molto probabilmente in Italia non lo vedremo mai, ma non importa, un modo si trova sempre. E play.com è una soluzione più che ragionevole.


"I think I could turn and live with animals. They are so placid and self-contained. They do not lie awake in the dark and weep for their sins. They do not make me sick discussing their duty to God. Not one of them kneels to another or to his own kind that lived thousands of years ago. Not one of them is respectable or unhappy, all over the earth."


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29.3.10

Cartoomics ovvero "Ma chi me l'ha fatta fare?"




Sequela di foto, che c'è poco da dire (e sta tutto alla fine)


(Vabbè questa è estemporanea, ed anche del giorno prima della partenza)


(Grazie alla Cotral per aver fatto un'ora di ritardo. E grazie all'autista per avermi lasciato al Terminal 2, mitico)


("Bussa, tanto ci sarà sicuramente qualcuno", alla fine mi ha tenuto compagnia l'operatrice della Vodafone)


(Tutto ha un prezzo, anche l'amore per Max. 20€)


("Dio vi ha dato i capelli. Noi vi diamo lo stile". Vabbè, ma Cesare Ragazzi perde clienti in questo modo)


(Mater Morbi)


(La busta non so cosa contenesse, c'era anche una terza foto in cui la donna a sinistra era iper disgustata, ma è venuta ahimè sfocata)


("C'erano così poche persone che avrei potuto girare con un'enduro")


(La 501ma, una delle poche cose che salvo)


(Babele miniaturizzata)


('Mostra Erotica', in realtà sul lato opposto della parete c'erano tavole che di erotico avevano ben poco)


(Due cose, il Joker era veramente brutto e Batman, nella foto non si vede, aveva espulso per via rettale un Facehugger)


(Si, ma non può costare 300€ maledizione)


(Porta Ticinese. Mi pare. In realtà non sono sicuro di volerlo sapere, però la foto mi piace)


(La Na'Vi aveva appena scoperto la tresca del suo compagno con un prolemure)


(Uomini giganti, con la testa di zucca)


(Pre Ayaaaak)




(A parte un paio di premi gli altri sono andati tutti alla scuderia Bonelli)


(Piccoli nerd crescono. E la cosa bella è che erano -almeno uno dei due- i figli di Faso)


(Giusto per farlo contento)


(Giusto per farmi odiare)


(La foto sarà anche sgranata, ma il vetro dell'Intercity era davvero sporco)


(Mai titolo più azzeccato. E comunque questo è il motivo per cui al check-in a Fiumicino la valigia non passava)

Detto ciò, questa diciassettesima (o 16-bis come diceva non so chi il sabato) edizione del Cartoomics si è rivelata parecchio deludente. Poche cose di rilievo, pochi (quasi nessuno) editori, pochi autori.
Gli unici aspetti positivi sono stati l'acquisto de "Il Santopremier", acquisto di cui sono pienamente soddisfatto. Un'ora intensa di lettura (ma ci ritornerò), l'aver trovato la prima stagione di "Detective Dante" e i panini con falafel a 2,50€ (ma questi sono esterni alla fiera).
Per il resto, una volta uscito non potevi rientrare, nonostante un biglietto a banda magnetica (mistero della fede), c'era uno stand che si occupava di ceramiche (perché?) e c'era, al solito, pieno di Cosplayers, alcuni anche più alti di me.
Arrivederci all'anno prossimo? Ne dubito, onestamente.

Ah, ma la locandina chi l'ha disegnata?
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Long way round



Lo zen è l'arte del curare la propria moto.
Ma anche no, lo zen e l'arte dell'acquistare una moto. Si.
Sarà colpa di "Sons of Anarchy" se m'è tornata la scimmia per le due ruote, sarà che ho un po' sta fissazione ce l'ho sempre avuta…
Ricordo che nel 2005, quando acquistai "Shantaram" di Gregory David Roberts, io avevo 19 anni e mi ero appena diplomato e non pensavo minimamente all'India, alle moto (periodo nero, non pensavo nemmeno alle auto a dire il vero, ci sono voluti altri tre anni perché mi decidessi a prendere effettivamente la patente) e agli standing babas. Non pensavo nemmeno l'India fosse qualcosa di diverso da un cliché che le associazioni di beneficenza usano quando hanno bisogno di racimolare qualche soldo per andare dal paninaro all'angolo.
Poi, un mese e 1200 pagine dopo, non pensavo altro che alle stradine di Mumbai (o Bombay, a seconda dei casi), alle baraccopoli, a come la vita di un uomo possa cambiare radicalmente se messo alle strette e in un posto completamente diverso dal suo "habitat tradizionale". E a fare un viaggio su una due ruote.
Sempre nel 2005 ricordo acquistai "Long way round" del duo McGregor-Boorman. Il primo penso lo conoscano tutti per l'essere stato Obi-Wan Kenobi nella nuova trilogia di "Star Wars" (che io rinnego, già è tanto se accetto la vecchia, ma questa è un'altra storia fatta di Trekkers e guardie imperiali), il secondo, Charley, è figlio del mitico John Boorman, colui che ha realizzato la migliore, per me, trasposizione cinematografica delle leggende di Re Artù (se poi pensiamo a quella cagata con Richard Gere e Sean Connery ancora di più la mia teoria è confermata). Peste e corna a chi non lo ha mai visto (e grazie a mio padre per avermelo fatto vedere, a suo tempo. Mi pare lo diedero su Rete 4). Il libro, resoconto di un viaggio in moto da Londra a New York passando per buona parte dell'Europa e dell'Asia, non fece altro che motivarmi ancora di più nella scelta.
Detto ciò arriviamo ad oggi, io quest'estate ci riprovo.
Perché tutto ciò?
Perché è lunedì, perché mi andava di pubblicizzare un po' "Shantaram" che è sempre bene (e il titolo, lo so, è invece quello dell'altro libro, beh da qualche parte dove pur parlarne), perché sono incazzato nero (quasi quanto la camicia che indosso) ed è arrivato il caldo. Maledizione.
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23.3.10

Les Aventures Extraordinaires d'Adèle Blanc-Sec





Cioè c'è una cosa del genere in giro, per giunta diretta da Luc Besson e che fa il verso a Hugo, e nessuno (eccetto Trailersland) ne parla?


Entra di diritto nei film da vedere.
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Il barbiere



Quando la nave prende il largo è ormai troppo tardi per pentirsi, per ripensare agli agrumeti, agli asinelli e alle sassaiole.
«Si tratta di un viaggetto» gli hanno detto «Vai, fai la barba e torni. Roba di poco conto.»
La nave fischia e lui saluta, forse per l’ultima volta, la sua Concetta. Nessun bacio, è un uomo di quelli veri, cresciuti a pane e pallottole ripiene di onore.
Ma lei lo sa bene, è per questo che lo ama.
Quando raggiunge la sua meta, a salutarlo c’è una donna in ferro enorme quanto tutta la sua terra natia, regge in mano una fiaccola che dovrebbe dare speranza ai naviganti, a lui ricorda soltanto che è lontano da casa, che qui il mare non è né blu né, tantomeno, azzurro. Che ha un lavoro da compiere, un taglio da fare e il pensiero di una donna ad aspettarlo. Vorrebbe sciogliersi tra le sue braccia, amarla e baciarla tutto il tempo. Tutti i giorni. Ma lui è un uomo, di quelli cresciuti a sassaiole e tramonti insanguinati. Quindi non può, non deve. Per nessuna ragione al mondo.
Le vie, qui, sono grandi, asfaltate, macchine a motore le percorrono, la gente indossa cappelli e cappotti perché, nonostante il sole e l’estate, fa sempre freddo. Sarà che non ha niente della terra promessa che tutti gli raccontavano, sarà che tutti gli promettevano palazzi alti fino al cielo, persone sorridenti, gelati di mille gusti diversi, soldi piovere al posto della pioggia e amici ad ogni angolo, ma lui ci vede soltanto fredde mura di cemento, squadrate, una valigia di cartone, quella che regge in mano, con dentro un paio di calzoni e una camicia buona, confezionata apposta per l’occasione. E tanta, tanta angoscia e voglia di tornare a casa sua. La Browning la riceve il giorno stesso del suo arrivo, a recapitargliela è un ragazzino di appena dieci anni. Avvolta in un quotidiano che urla di una crisi di cui nessuno vorrebbe sentir parlare, di venerdì neri come il petrolio che va esaurendosi e di palazzi troppo bassi perché la gente buttandosi di sotto abbia il tempo di redimersi per tutti i suoi peccati.
E lui, che di veder di nuovo Concetta ne ha davvero voglia, raggiunge il luogo prestabilito nel primo pomeriggio, così potrà imbarcarsi la sera stessa e far ritorno al suo pezzo di terra e ai suoi frutti.
Ironia della sorte, deve fare la barba proprio ad un barbiere, che a lui non ha fatto niente di male, ma che gli han detto è troppo amico di altri amici, con cui nessuno vuole avere niente a che fare. Così entra, estrae la Browning e, senza nemmeno parlargli, spara.
Spara tante di quelle volte che la mano si consuma, la testa scompare e il sangue diventa intonaco. Poi, poco prima d’uscire la vede, una ragazza. Avrà all’incirca tre lustri alle spalle e a malapena si regge sulle gambe. Piange, lui non sa che è per la felicità. Piange e lui non trova altro modo per tranquilizzarla che baciarla.
«Un bacio breve» ripete tra sé e sé per tranquilizzarsi «Concetta non lo saprà mai».
Infine si allontana, con in mano la sua valigia di cartone e i suoi sogni. Troppo presto per accorgersi che lei è ancora ferma a guardarlo, troppo tardi perché la sua vita non risulti indelebilmente intaccata.
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22.3.10

Di Alan Moore e altre storie



Magari a volte ti alzi con la speranza di sputar un po’ di sangue al mattino, di sapere che i tuoi polmoni stanno veramente male, che non è soltanto l’ennesima ricaduta, non è un attimo di ordinaria follia in tante giornate dal basso profilo.
Ammalarsi lontani da ‘casa’ all’inizio è strano, nell’immediato non sappiamo come comportarci, non c’è nessuno che ci porti una tazza di té caldo, nessuno che ci dica andrà tutto bene e sopravviveremo, nessuno che acconsenta alla richiesta di chiudere la porta della nostra stanza. Il perché, del resto, lo ignora chiunque. Quello che c’è all’esterno, in situazioni simili, è tanto ovattato quanto quello che circola nella nostra testa.
La prima volta succede perché deve succedere, ti alzi, a stento muovi le gambe, il respiro è affannato, ma sopravvivi. La seconda, nonostante il danno sia maggiore, te ne fai una ragione, capisci che per certi versi puoi farcela da solo. Passano mesi tendenzialmente tranquilli e arriva, finalmente, Marzo. Il mese della resa dei conti. Per fortuna durato meno del previsto.
L’idea, la convinzione, alla base di tutto è che sia stata un’intossicazione alimentare, anche se continuano tutti a dirmi di no, ma sono sempre stato convinto che tonno e pomodoro non possano convivere per nessuna ragione al mondo, aggiungiamo il tutto alla mia indisponenza nei confronti dei camerieri ed ecco servita una magnifica intossicazione alimentare di prim’ordine. Perché già venerdì sera stavo male. E sabato mattina ancora peggio, al punto che fare i quattro metri che mi separano dalla stanza alla cucina si è rivelata un’impresa titanica (altro che Sam Worthington). Nel pomeriggio si sono aggiunti i tamburi di guerra e gli Olifanti in marcia sull’Appia (c’è chi dice fossero centocinquantamila, chi un milione, in questo caso dubito la verità stia nel mezzo), poi è arrivata la telefonata che mi ha cambiato la giornata, perché una volta tanto sono stato a sentire Dora. E nonostante c’abbia messo oltre un’ora per raggiungere casa sua, alla fine è lei che mi ha impedito di sputar fuori anche l’anima nell’arco di ventiquattro ore. Ma andiamo con ordine, raggiungo la benedetta casa che sono quasi le cinque del pomeriggio e sono già pienamente calato nella parte del malato immaginario (con tutto il rispetto per Molière). Intorno alle otto di sera la temperatura corporea raggiunge e supera i trentanove gradi. E iniziano i primi deliri sinaptici.
Appare Alan Moore in versione Buddha vicino a me sul letto, discorriamo sul fatto se sia o meno il caso di chiamare Dora, conveniamo sia meglio temporeggiare un altro po’ (anche se in cuor mio vorrei provare, ma la voce non ne vuol sapere di uscire), poi lui accede a Facebook, gira per la casella di posta, chiede l’amicizia ad un paio di persone e poco ci manca che commenti al posto mio. Breve vuoto temporale, in cui credo di aver dormito. Alle otto vedo arrivare un bicchiere -modello IKEA per gli interessati- con dentro un liquido rosso. Alan sornione mi dice si tratta di liquido mestruale, io vorrei non dargli retta, ma lui continua ad annuire e a guardarmi soddisfatto, così sono indeciso se berlo o meno. Dora mi spiega si tratta del famoso karkadé (che devo aver chiamato in altre trentacinque modi lì per lì), estratto di foglie di ibisco se non ricordo male (e non mi pare il caso di verificare su google, potrei scoprire che Alan aveva ragione), bevanda marocchina che raggiunge i trecento gradi, ma riesce comunque a dissetarti. Mando giù, lui mi guarda fastidiato, io vorrei tanto prendere due o tre efferalgan da mille, giusto per riempire uno stomaco già abbastanza vuoto, e invece arriva la cena (mi dice che ho esordito con un “era ora”, ma io non lo ricordo proprio e, nonostante sia un fervente maschilista, non lo avrei detto in condizioni ‘normali’). Intorno alle dieci Alan cambia posto e si viene a sedere di fianco al letto, io dovrei dormire. E in effetti ci riesco. Vuoto temporale. Sono le quattro del mattino, Alan è scomparso, in compenso sogno David Murphy in versione castana che armeggia con una chiave inglese, non voglio nemmeno sapere per quale motivo. Mi sveglio nuovamente, sento la presenza di Sawyer e soci, si Dora indossa le cuffie, ma “Lost” mi perseguita ugualmente. Riprendo sonno. Alle undici mi sveglio, la febbre è passata, Alan non c’è più. Contavo di cavarmela in molti più giorni, come al solito, e invece è bastata soltanto una notte. Per questa volta. Però un paio di Efferalgan precauzionali le ho prese ugualmente.
Dall’esperienza ho capito che non è il caso di lamentarsi più del dovuto, che Alan Moore in versione Buddha rappresenta il Nirvana per i ‘fumettari’ (e forse anche per i nerd in genere), devo indagare, ma mi auguro di avere una ricaduta fra almeno un paio di mesi, non prima e che se non fosse stato per Dora, che metto in ultimo soltanto per concludere (questa potrebbe esser considerata una paraculata, lo so), e per la sua pazienza nel sopportarmi (senza indugiare sulla teoria dell’uomo che quando sta male diventa peggio di una donna, che non mi pare proprio il caso) starei ancora rimettendo l’anima.
Però ci sono tanti altri mesi davanti e tante altre occasioni per ammalarsi. C’è Giugno, a me Giugno è sempre piaciuto. Gran bel mese.
Oggi è lunedì, è uscito il primo volume del Topolino di Floyd Gottfredson (non finirò mai di ripeterlo, ma son contento), l’ho acquistato mentre un anziano signore chiedeva “Il Messaggero” e l’edicolante si rifiutava di venderglielo. È lunedì e piove. È iniziata un’altra settimana. Alleluja.
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[RECE] Fuori controllo



È tornato Mel Gibson sul grande schermo.
Perché?
Io dopo cinquanta minuti mi sono messo a dormire.
Si, perché dai primi cinquanta minuti ho capito che ultimamente Mel beve soltanto gingerino (pecca dei doppiatori?), che più passa il tempo e più si rimpicciolisce (o il mondo intorno a lui si ingigantisce), che c'è una certa invidia per l'ispettore Callaghan che pervade tutta la pellicola.
E soprattutto che per essere un film d'azione, l'azione latita parecchio. Sarà colpa delle multinazionali, del governo o di qualcosa di ameno. Nessuno lo sa.
Oltre al buon vecchio Callaghan, altre situazioni mi son sembrate copiate di peso da "Get Carter" (l'originale con Michael Caine, non quella cagata con Stallone) e da quel film di cui non ricordo mai il nome con cui Kevin Bacon s'è mezzo sputtanato, quello che tutti dicono sia un gran film, ma che in realtà è una gran mazzata sulle parti basse.
È tornato Mel Gibson sul grande schermo.
Talmente grande che nonostane lui sia piccolo piccolo (ultimamente anche come attore) lo si vede ugualmente.
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19.3.10

Raccolta differenziata VOL.2



Questa settimana mi è presa a citazioni, pazienza. Ce n'è anche una "vecchia", ma non è il caso di farne una tragedia.

"Scusa, perché Batman è dello stesso colore dello sfondo? Non sarà che è nudo?"
"No vabbè, stava a 4€ al Carrefour"
[Rrobe]

"Il saper piegare la lingua a U è una questione genetica, se né tuo padre né tua madre lo sanno fare vuol dire che sei stato adottato, c'è poco da fare."
[Rrobe]

"Na sciarpa de Maicol Jekson 50.000€, te rendi conto?"
"Cioè questo ha fatto un'investimento per la vita"
"E si, te prendi n'opera d'arte. Un pezzo de storia"
[Diverbi da lavanderia alle 10 del mattino]

"Me ne torno il sabato sera"
"Ma scusa ti conviene?"
"E pago un'altra notte d'albergo?"
"Vabbè, lo diciamo a Max che tanto lui c'ha trecento posti letto in casa"
[Lollo]

"È arrivato l'arrotino. Ripara le vostre cucine, le vostre stufe e i vostri fornelletti".
È arrivato l'arrotino, custode dell'unica verità di cui si debba tener conto.
E gli arrotini la sanno lunga, lunghissima, quasi quanto il messaggio registrato che sta in circolo da quando io sono nato.
[Arrotino alle 8.30 del mattino]

"Oh mi sono preso Hipstamatic"
"E che è?"
"È un programma per fare foto per l'iphone"
"Ah"
"Ah"
"Quanto costa?"
"Tutto compreso 4€ circa e puoi fare tutte le foto fighe"
[Conversazioni da San Lorenzo]

"Se trovo un foglio iper volante me lo fai un disegno?"
"Ammazza oh, me fai paura! Troviamoci fra dieci minuti."
[Ausonia]

"Ma te dovevi venire vestito da cosplayer di Leonida"
[Giacomo]
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