22.2.10

Stanno tutti bene




Suo padre fa il calzolaio, ripara scarpe da una vita, una suola dopo l’altra. Tutto per pagargli un’istruzione, per farlo diventare un uomo importante. Sostanzialmente un uomo.
Di quelli veri, con addosso un abito elegante anche quando cucinano la carne la domenica o vanno in spiaggia sotto il sole d’Agosto. Un manichino imbellettato e servo del suo mestiere, che a lui il bombarolo del Faber non ha insegnato proprio nulla. Lui se ne frega, fuma il suo spinello quotidiano, si perde nei di lei capelli, ne accarezza le chiome violacee. Anacronistiche, quasi ucroniche. Allo studio ci pensa raramente, le sue attenzioni sono tutte per un paio di curve, per quella fraschetta della domenica all’ora di pranzo. Un bicchiere di vino e tanta felicità. Suo padre perde la vista per inseguire chiodi troppo curvi o che di curvarsi non ne voglion proprio sapere e cerca di non ascoltare sua moglie quando gli dice che suo figlio è uno scapestrato, che non farà mai strada, che dovrebbe dedicarsi maggiormente alla piccolina, lei si che promette bene. Lui si tappa le orecchie per non sentirla ciarlare. Crede ciecamente in suo figlio, diverrà un uomo vero. Importante. Lui al diciassettesimo compleanno decide di lasciare il nido, andrà a cercare fortuna in giro per il mondo, con la sua arte, con la sua inventiva precaria, da figlio della gleba che guarda alla borghesia, ma non passano nemmeno tre mesi che si ritrova ad esprimere la sua arte sotto un ponte, cantando storie di uomini erranti, di luoghi incantati e viaggi immaginari fatti di costellazioni, universi paralleli e trip lisergici. Il tutto con una chitarra a quattro corde, che suona come un basso senza amplificatore, per dieci centesimi di euro e uno sguardo dolce, per un pasto caldo, ma anche freddo. E per poter tornare da suo padre e dirgli che aveva torto e che, invece, sua madre aveva ragione, non sarebbe diventato mai un uomo, di quelli importanti. Suo padre ha smesso di lavorare, passa le giornata nel parco vicino casa, esce la mattina alle sette e porta con sé una busta di pane grattugiato e un giornale del mese prima, che le notizie brutte e meglio apprenderle il più tardi possibile. Ripone fiducia nei colombi che nutre costantemente e amorevolmente,  quotidianamente, quasi fossero figli da crescere, da ammirare. In cui riporre fiducia incondizionata. Torna alla sera, mesto e senza una briciola di pane, la moglie gli chiede se ripensi mai a suo figlio e lui le risponde che starà sicuramente bene, sarà diventato un artista importante e si vergognerà delle sue umili origini e della sua famiglia da quattro chiodi e una suola di cuoio duro. Piove e quel ponte non è poi quel locus amoenus che narrava sempre nelle sue storie. Prova a  immaginare che faccia abbia ora sua sorella, dopo dieci anni, se frequenti qualcuno e se suo padre la lasci uscire liberamente o le imponga un qualche coprifuoco. E’ il 23 Luglio, da qualche parte un bambino emette il suo primo vagito, Andrew Cunanan pensa bene di togliersi la vita in una house-boat, dopo aver compiuto una strage a colpi di martello e calibro .40 e lui sta steso sull’erba, la sua chitarra da quattro corde è diventata un borsone rigido. Conta le poche nuvole sparse nel cielo di mezz’estate, pensando a Shakespeare e al tempo perso, accarezza la sua barba che del rossore di una volta ne conserva soltanto un vago ricordo, impasta la saliva con una foglia di tabacco e quando sente un tintinnio nella sua ciotola di latta alza lo sguardo. E vede un uomo anziano in impermeabile e cappello, vorrebbe tanto stringerlo a sé e dirgli una miriade di cose, ma quella timida figura si limita a sorridergli, quasi inebetita, e ritorna sui suoi passi, con in mano una busta di pane grattugiato piena fino a metà. Solo allora lui trova il coraggio di parlare, gli chiede se abbia una famiglia, il vecchio sistema bene gli occhiali e lo guarda dritto negli occhi. Stanno tutti bene, gli dice, poi torna sui suoi passi.
Quella sera suo padre torna a casa col sorriso, abbraccia sua moglie e la bacia come non faceva da anni. Quella sera lui torna sotto il suo caro ponte, chiude gli occhi e sogna di essere un importante uomo d’affari. Un uomo, in sostanza.

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