17.2.10

Dell'importanza del frullato



“Ti amo” sta scritto in uno di quei cuori di peluche appesi al vetro posteriore, la macchina è una vecchia punto di un bordeaux metalizzato che è tutto un programma, l’alettone sporgente e gli spoiler modificati servono a calarsi nella parte.
Non si ferma mai con il giallo né, tanto meno, con il rosso, sempre di corsa, un metro dopo l’altro. Attraversa il viale alberato da mille palazzi di forme differenti e raggiunge la piazza al centro, la circumnaviga e scompare all’orizzonte, lasciando dietro di sé una scia di fumo e rose, un paio di insulti e tanta rabbia, ma non le importa.

Lei, Sara, ha trentacinque anni, tre figli a carico e due canarini, all’inizio erano tre, proprio come i figli, ma uno fu talmente saggio da farsi mangiare da un gatto ad un mese dall’acquisto.
Lui, Adriano, l’ha lasciata quando di anni ne aveva ventinove, probabilmente per una brasiliana, nessuno lo seppe mai con certezza.
In ogni caso lei non lo ha mai amato, le piaceva soltanto andarci a letto, in quello era davvero bravo.
Lei ha due gemelli di dieci anni, Cesare e Augusto, nomi importanti per due bambini viziati, e un altro figlio, Giacomo, di dodici. Tra di loro non parlano mai, nemmeno i gemelli. Cosa strana.
La radio della punto è sempre spenta, ogni tanto l’accende, solo per ascoltare qualche vecchia musicassetta in cui Ornella Vanoni le dice che c’è una ragione di più per andare avanti.
“Ti amo”, quel cuore penzola inesorabile e alla ventosa ha sostituito della colla, al brivido della carne quello per la velocità.
Lui sogna pareti grigio antracite, finestre trapezoidali e colonnati dorici, lei ascolta Caterina Caselli, le ricorda tanto il suo uomo e tutte le volte che s’incontravano, anche soltanto per un quarto d’ora di passione. Di follia.
Lei sfreccia veloce, la tangenziale è un vago ricordo, tre chilometri che passano via in un attimo, suo figlio, quello grande, le tira i capelli e continua a urlare, vorrebbe un frullato alla fragola, ma non ha il coraggio di chiederlo a sua madre, che per tutta risposta lo lascia a scuola e sfreccia via. “Freccia rossa” la chiamano i compagni di suo figlio, sembra quasi il nome di un modellino di aereo, che gli aerei veri nessuno si sognerebbe di chiamarli con questo nome.

Lui non dorme, non pensa, è rimasto solo, sogna una prigione da cui evadere facilmente, un lago di lacrime dolci in cui immergersi al mattino e uscirne la sera. Sogna una ballerina brasiliana, dai fianchi larghi e accoglienti.
Giacomo, che di suo padre non ha il minimo ricordo, pensa che sia giusto riceva quel frullato alla fragola, del resto è il suo compleanno e la madre non si è nemmeno ricordata di fargli gli auguri, ma va’ sempre di fretta, la giustifica così, proprio come i gemelli, quindi le invia un sms, con quel cellulare ottenuto per grazia ricevuta dopo mille piagnistei.

Quando Sara riceve il messaggio sta raggiungendo a poco più di cento all’ora un incrocio a tre corsie, prende in mano il cellulare, un Nokia antidiluviano, e invece di leggere il testo lo sguardo le cade sulla macchina alla sua sinistra, Adriano sfreccia altrettanto veloce, ma nel senso opposto. E’ un gioco di sguardi di un attimo lungo una vita, lei vorrebbe maledirlo, baciarlo, lui vorrebbe girare lo sguardo dall’altro lato, ma non ci riesce. Poi soltanto il tonfo sordo e della punto bordeaux ne rimane un vago ricordo. Il cuore di peluche continua a penzolare, proprio come la testa di Sara in questo preciso momento."Ti amo".

Il messaggio recitava “Mammina mi compri un frullato alla fragola? Ti voglio bene, Giacomo”, quello stesso giorno Giacomo, come ogni anno, ricevette l’ennesimo messaggio anonimo, un formale “Auguri” e per una volta sperò fosse suo padre ad averglielo scritto. Un gioco di sentimenti mal riposti e mai ricambiati.

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