9.2.10

Corpo. Macchina.



Oggi tira così, se ti arrabbi troppo finisci per perderci fegato, polmoni e cervello.
Meglio rimanere calmi.
Gli piaceva immedesimarsi nei film, credere di essere uno dei freak incontrati da Amélie Poulain, la speranza che anche a lui potesse piacere qualcosa che puntualmente una voce narrante metteva in evidenza.
"A Marco piace sentire le gocce di pioggia cadere sul suo cappuccio nei giorni invernali"
"A Marco non piace dover fare un’ora di fila per dover pagare una bolletta"
E poi, come tutti i giorni, camminava su quel sentiero poco alberato che da casa sua lo portava sul posto di lavoro. Sempre a piedi, i mezzi li lasciava prendere a tutti gli indaffarati che quotidianamente gli passavano davanti.
Simon & Garfunkel nell'iPod cantavano "The sounds of silence" e mestamente lui raggiungeva l'agognata, neanche tanto, meta. Sempre le stesse espressioni, mai nessuna novità di rilievo, una buca qui, una lì, una pala nuova da comprare -che al giorno d'oggi si logorano troppo facilmente, soprattutto se non usi le dovute precauzioni- qualche sigaretta rubata al collega e un'eterna pausa pranzo. A volte. Credeva fossero cipressi, ma non si era mai dato cura di chiederlo al suo datore di lavoro, lui sicuramente avrebbe saputo rispondergli, ma non trovava mai il coraggio o l'attimo giusto.
Uno dei suoi momenti preferiti era quando si perdeva nella fantascienza a metà strada trai settanta e gli ottanta, generalmente gli succedeva mentre rientrava intorno alle sei del pomeriggio.
"Ho visto cose che voi, vivi, non potete nemmeno immaginare"
"Giacomo io, Matteo, sono tuo padre"
E, nella più totale monotonia, tornava a casa. Non c'era mai nessuno ad aspettarlo, nessuna cena calda e nemmeno fredda da riscaldare al microonde. Lui, che il microonde nemmeno lo aveva perché tanto pranzava sempre fuori e la cena era sempre in scatola. Nessun telefono che squillava.
Ogni tanto usciva a prendere una birra, ma erano rare le volte. Il suo collega non usciva mai, era già tanto se gli rivolgeva la parola durante il turno. Andrea, persona cara e taciturna, mai un sorriso di troppo, mai un sorriso a dire il vero.
Il momento della giornata che preferiva in assoluto era quello che intercorreva tra il mettersi sotto le lenzuola, orientativamente alle undici di sera, e il prendere sonno, incominciava a fantasticare su qualche film fantasy, tanto per conciliarsi il sonno. E i sogni.
"Il mio cussssssssscino!"
"Ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell'umanità, quindi Phantàsia non può avere confini"
Chiudeva gli occhi e immaginava un mondo migliore, in cui Bob Dylan aveva ragione, in cui i tempi erano realmente cambiati, ma in meglio, ma quando si risvegliava, il giorno dopo, tutto era come l’aveva lasciato. Il suo lavoro era sempre lo stesso, le bare da catalogare costanti, l’espressioni di Andrea sempre le stesse. 
Ogni tanto ascoltava l’iPod anche durante le ore di lavoro, tanto nessuno si sarebbe offeso, e “Hey that’s no way to say goodbye” di Leonard Cohen rendeva più sopportabile la pioggia primaverile e l’asfissiante caldo estivo.
Oggi tira così, se ti arrabbi troppo finisci per perderci fegato, polmoni e cervello.
Meglio rimanere calmi. Soprattutto quando si ha a che fare più coi morti che coi vivi.

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