12.12.09

Quei due...





C’è puzza di marcio, avanzo a tentoni con la poca luce che filtra dalle grate sopra la mia testa.
Non oso guardare l’acqua melmastra che raggiunge le mie ginocchia, il bastone che uso come appiglio mi pare ogni istante più corto, ogni minuto che passa sempre più esile.
Credo da un momento all’altro mi troverò tra le mani un ramoscello.
Suppongo sia uno dei canali delle fogne, ogni tanto intravedo un topo grande quanto il mio avanbraccio farsi strada nell’acqua, quasi surfando su cumuli di spazzatura e macerie.
Sono ormai tre ore che mi dimeno, trattengo a stento il vomito, ma più di una volta i conati mi hanno quasi messo in ginocchio.
Infine vedo un’enorme porta, corro, un ultimo sforzo e sarò fuori da questo schifo.
Le mani si muovono velocemente, ruotano la maniglia, la rugine si scrosta e i cardini ruotano dopo tanto tempo. Un immenso bagliore incomincia ad invadere il canale, alle mie spalle un interminabile squittio.
Tiro con forza, mi sento quasi svenire, ormai c’è l’ho fatta. Pochi istanti e sarò fuori.
Aperta!
Un bambino mi guarda, regge in mano una torcia. Non dice una parola e continua a fissarmi, vedo il volto colmo di lacrime, io gli sorrido e gli dico che andrà tutto bene. Lo prendo per mano e iniziamo a camminare insieme in questi sterminati meandri.
Le lacrime incominciano a scendermi sul volto.

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